Secondo l’analisi dei Digital Innovation Hub di Confindustria, una rete di 23 hub regionali affiliati alle associazioni di Confindustria, nelle imprese italiane si registra un buon livello di maturità digitale, che arriva a toccare un valore medio di 3 (2,85) su una scala da 1 a 5. La variabile che incide maggiormente sul livello di digitalizzazione è rappresentata dalla dimensione aziendale. Il livello di digitalizzazione, infatti, aumenta al crescere delle dimensioni; per le imprese più piccole il processo di innovazione è più lento e la ragione è da rintracciare prevalentemente nella carenza di competenze interne.
L’analisi è stata condotta su un campione composto per il 58% da micro e piccole imprese e per il 42% da medie e grandi imprese. Sul totale, la metà opera nei settori della meccatronica, della meccanica, della metallurgia, della chimica e della plastica.
Mezzi di trasporto, mobilità e logistica, ICT, meccatronica e metalmeccanica sono i settori più avanzati. Seguono a breve distanza il settore farmaceutico, chimico, agroalimentare, l’industria cartiera e del legno, il settore tessile e della moda, il commercio, l’edilizia e le costruzioni.
In generale, tutte le imprese analizzate hanno concentrato gli sforzi di digitalizzazione principalmente nelle fasi di produzione e ricerca e sviluppo.
Dall’analisi sulla strategia aziendale emergono, però, alcune criticità che evidenziano l’importanza di sviluppare competenze specifiche a sostegno della transizione digitale. In particolare:
- poco meno di 1/3 delle imprese considera l’industria 4.0 parte delle proprie strategie aziendali;
- solo 4 imprese su 10 riconoscono, sviluppano e premiano le competenze digitali;
- per 7 imprese su 10 l’industria 4.0 non coinvolge gli attori della catena di fornitura;
- poco meno del 50% delle imprese mappate ritiene matura la propria cultura aziendale sui temi dell’industria 4.0;
- le strategie di industrializzazione secondo il paradigma 4.0 sono definite, per più della metà delle imprese, dalla proprietà e per il 30% dalla direzione generale.
Il fattore principale che frena l’avvio e lo sviluppo dei processi di trasformazione digitale nelle imprese, è la mancanza di adeguate competenze digitali o digital skills.
La variabile a cui assegnare il peso maggiore è la generale scarsa partecipazione ad attività formative. Rispetto all’Europa, l’Italia registra la minore spesa pubblica per istruzione e formazione professionale, calcolata sia in rapporto al PIL sia come quota della spesa pubblica totale. Ne consegue che non è ulteriormente derogabile la necessità di ridefinire le priorità della spesa pubblica, per la costruzione di un vero e proprio sistema nazionale di sviluppo delle competenze per il lavoro.
Sotto un aspetto strutturale, lo sviluppo delle industrie digitali, sia nel settore manifatturiero che nei servizi, dipende strettamente dalla presenza di una solida base di competenze digitali. Data l’elevata complementarità tra attività innovativa e competenze e l’importanza della conoscenza tacita per lo sviluppo delle innovazioni legate all’ICT, la capacità di assorbimento delle nuove tecnologie da parte delle imprese, è fortemente legata alla quantità e alla qualità delle competenze di cui sono dotate.
Le competenze digitali per i processi di innovazione tecnologica
“Le imprese sono nel pieno della cosiddetta twin transition, green e digitale, che sono anche i due grandi driver che guidano gli investimenti e la competitività dell’Italia e dell’Europa e sono tra loro strettamente connesse. – afferma Agostino Santoni, vicepresidente di Confindustria per il Digitale – Per questo è essenziale accelerare sulla digitalizzazione e soprattutto puntare con decisione allo sviluppo di un’Economia dei Dati, che valorizzi l’enorme mole di informazioni raccolte da imprese e pubbliche amministrazioni attraverso l’Internet delle Cose, l’Intelligenza Artificiale e il Cloud. È l’evoluzione naturale del 4.0, ma va sostenuta con la creazione di adeguate competenze sia attraverso percorsi scolastici e universitari, sia con l’upskilling e il reskilling delle risorse umane già impiegate”.
Nell’attuale contesto, risultano imprescindibili la digitalizzazione di processi e prodotti e l’acquisizione di competenze per sfruttare al massimo il potenziale delle tecnologie digitali. Questo percorso è diventato indispensabile per mantenere e aumentare la propria capacità competitiva. Non a caso, le imprese che per prime si digitalizzano o si specializzano nella produzione di beni e servizi digitali, sono quelle che riescono ad intercettare più rapidamente i nuovi flussi di domanda, accrescendo le quote di mercato sia a livello nazionale che internazionale.
Anche l’evoluzione dei sistemi produttivi verso un’innovazione sostenibile richiede nuove competenze da parte dei lavoratori in tutti i rami dell’economia, che devono essere sviluppate congiuntamente con i rapidi mutamenti tecnologici che caratterizzano la società odierna.
I risultati di un’indagine condotta da Cedefop-Eurofound e basata su un campione di imprese europee, confermano in maniera inequivocabile che gli approcci manageriali incentrati sulla valorizzazione delle risorse umane, consentono di raggiungere migliori performance aziendali, sia in termini di innovazione, sia di redditività. È evidente l’importanza di una cultura aziendale che favorisca non solo l’acquisizione di nuove competenze, ma che offra ai dipendenti anche l’opportunità e la motivazione necessari per il loro effettivo utilizzo attraverso una maggiore autonomia organizzativa e adeguati incentivi. All’interno delle imprese, si rendono quindi necessarie anche maggiori competenze manageriali e di gestione delle risorse umane.
Secondo le stime riportate nell’ultimo Future of Jobs Report del World Economic Forum (WEF, maggio 2023), entro il 2027 si verificherà una significativa ristrutturazione della forza lavoro. A livello globale si registrerà la perdita di 83 milioni di posti di lavoro a fronte della creazione di 69 milioni di nuove posizioni lavorative. In questo contesto, le professioni caratterizzate da un livello più elevato di competenze digitali saranno tra le più ricompensate, mentre quelle con mansioni ripetitive e routinarie, generalmente svolte da lavoratori meno qualificati e con minori capacità di adattamento alle nuove traiettorie tecnologiche, subiranno maggiori penalizzazioni.
Se questi sono i trend, nell’attuale contesto si delinea l’urgenza di superare la difficoltà nel trovare figure professionali altamente qualificate, come professioni tecniche e ingegneristiche e operai specializzati.
Quali sono le competenze digitali più richieste dalle imprese che innovano?
Secondo la ricerca realizzata da Assolavoro, nella classifica dei profili professionali ad elevata qualifica più richiesti nel periodo tra marzo e aprile 2023, vi sono: data analyst ed i data scientist, software engineer, sviluppatori java e dot.net, sistemisti, specialisti ERP, ingegneri meccanici, elettrici e dell’automazione, project manager, planning e business specialist, digital communication specialist, esperti di controllo di gestione e di acquisti energetici, esperti di affari regolamentari, amministrativi e fiscali. Tra le professioni a media qualifica si rintracciano, invece, gli esperti di vendite online e marketing digitale.
È evidente che in Italia sia ancora lungo il percorso da compiere per raggiungere un adeguato livello di competenze nel campo digitale.
Il rafforzamento delle competenze interne alle imprese rimane una premessa indispensabile per valutare e promuovere un ripensamento complessivo delle attività e dei modelli organizzativi, che vada oltre la semplice adozione delle tecnologie digitali.